Dopo una serata tra amici, in allegria, per festeggiare l'arrivo del Natale, ho sentito forte e chiaro che loro non mi appartengono, come io non appartengo a loro. Una facciata superficiale e di circostanza in cui ho trascorso qualche ora più per distrarmi che per reale desiderio.
Ma ancora più evidente mi è apparso il divario nel modo di sentire la vita che ci separa e ci rende estranei e sconosciuti. Ancora più pungente è stata la fitta che mi provoca la tua lontananza, più cocente si è insinuata la sensazione di lacerazione che provo da quando non ci sei più, quotidiano eppure saltuario, nella mia vita. Ancora più lampante quello che voglio e che mi appartiene, il mondo in cui sono amata, compresa e conosciuta per quello che sono fino in fondo: mi manca vedere la mia luce e la mia bellezza nei tuoi occhi, specchio sincero di quello che sono.
Mi sono scoperta a pensarmi in una dimensione che non avevo mai sentito prima, un'immagine di me che la mia mente non era mai riuscita a contenere. Ho pensato a noi due, a tutta la vita che potremmo lasciar pulsare nelle nostre vene all'unisono, alla passione di cui potremmo godere, a quella che condiviamo ed a quelle che ci rendono unici, ci distinguono ma ci completano, alla profonda consapevolezza con cui potremmo gustare ogni istante delle nostre esistenze, costruendo insieme quelle torri e piramidi indistruttibili ed eterne, piuttosto che rassegnarci ad anonime case, caduche e temporanee.
Ho pensato a te e ho sentito al contempo il tepore del focolare e l'impotenza di viverlo, semplice e libero. Sono entrata nella mia casa vuota e fredda, mi sono addormentata in un letto in cui mi rigiro infinite volte immaginando che sia il tuo corpo a scaldarmi. Ti ho desiderato più di sempre. Ho invocato quell'amore che mi riempie testa e cuore, che mi fa pulsare tempie e ventre in modo così chiaro e limpido.
E ho sperato che il tuo cuore sentisse il mio richiamo.
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