Non mi sbronzo da luglio e in generale non bevo più.
Quell'assillo dell'alcool che non riuscivo a scacciare, a cui cedevo ogni sera mentre rientravo da lavoro, era diventato un incubo, una catena in apparenza impossibile da spezzare, fonte di vergogna mista a commiserazione. Guardavo quelle quattro, cinque bottiglie di birra da 66 cl scorrere sul nastro della cassa, accompagnate dal nulla che rappresentavano e provavo per me stessa nausea e disgusto. Eppure era così forte il mio bisogno di ripetere ogni sera lo stesso rituale, da disarmare ogni tentativo di sfuggirgli e rassegnata ne subivo l'umiliazione quotidiana.
Le consumavo. Tutte. In poche ore.
Svenivo non più tardi delle dieci di sera, in un letto vuoto, per svegliarmi in piena notte con gli occhi sbarrati, annegata in un'amnesia temporanea carica d'ansia, mentre fuori sentivo tutto il silenzio del sonno sano degli altri ed io sola, d'un tratto, spaventosamente lucida. Mi rivoltavo inutilmente nel letto ormai sfatto, con fastidio e rabbia, infine mi alzavo, fumavo, giravo per casa con la mente che si riempiva via via di pensieri angosciosi e assillanti...mia madre, i soldi, mio padre, i soldi, la moto, i soldi, il compagno che non ho, i soldi, gli amici dispersi chissà dove lontani anni luce dal mio momento difficile, i soldi.
Mi riaddormentavo, esausta, un'ora prima dello squillo della sveglia. Al suo ineluttabile trillo trascinavo il mio corpo fuori dal letto per un'altra giornata di lavoro, prostrata dall'inaffrontabile fatica mentale di inventarmi "a posto". Davanti allo specchio l'immagine spietata di una pancia sempre più gonfia, di occhiaie profonde e viso sfatto, una coltre di stanchezza a coprire qualunque altra espressione, lo sguardo privo di luce e nessun motivo per sorridere. Con inusitata collera rifiutavo il sole in cielo, il calore sulla pelle, la sensazione che le giornate si allungassero come a prolungare insieme la mia inarrestabile agonia quotidiana.
Non ci speravo più.
Invece...
Ho girato l'interruttore.
Non so quando nè perchè.
Ricordi confusi di serate finite male, la voglia endemica di schiantarmi in auto e un grande vetro che si riduce in ragnatela entrando in contatto con la mia borsa preferita. Rivedo la scena al rallentatore e sento sulla pelle ogni minuscolo frammento infranto, come fosse la mia anima che cade a pezzi sotto i colpi della mia rabbia e del mio rancore.
Il mattino dopo trovo un piccolo pezzetto di vetro dentro la mia borsa che mi riporta tutto alla mente, mi blocca il respiro, il terrore mi paralizza per un istante e subito dopo si accende una luce, da qualche parte avverto l'ombra di un desiderio appannato di tornare a vivere come so fare, magari meglio.
Ed eccomi qui, con il buon umore sul volto disteso, negli occhi luminosi e sulla pelle liscia, costante e reale, senza bisogno di un motivo speciale. Non felice, ma serena. Qualche chilo di meno, qualche riccio di più. Il mio volto che mi parla di nuovo: racconta degli anni che ho vissuto e li tramuta in fascino e orgoglio; racconta dell'amore che provo per me e per quello che ho fatto per riconquistare una libertà che temevo persa per sempre; della lucidità con cui mi guardo intorno e oltre, con cui lascio che la vita mi attraversi e mi coinvolga senza opporre resistenze troppo forti, che lasciano filtrare quello che è bello e mi piace, respingendo senza sforzo tutto ciò che mi è nocivo, perchè ora so distinguerlo, non è più il dolore a decidere.
Racconta anche di un momento solitario, di attesa serena, ma senza paure.
Racconta che anche il caso mi è alleato, che anche quando subisco tentativi di invasione senza amore nè rispetto, riesco a rimanere in equilibrio, come quando sei in mare, non troppo distante dalla riva, ed all'improvviso arriva un'onda imprevista e tu non hai altri strumenti che la tua abilità di stare a galla e nuotare.
Sono stata muta in questi mesi, ma la mia voce non si è spenta.
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