(ancora una volta il mio inconscio mi ha indicato la strada)
Il sogno.
Sono con mio padre, a piedi, camminiamo insieme.
Saliamo verso la piazza. Mi confida che stiamo andando a ritirare due torte in pasticceria, la mia preferita, e quella preferita da mio fratello.
È felice e soddisfatto della sorpresa, le ha ordinate per noi.
Quando arriviamo in piazza ci separiamo, io mi fermo accanto a un ragazzino con disturbi mentali. Lo conosco, mi parla, ma a un certo punto si accascia sui miei piedi, nota un’ammaccatura sul mio stivale e lo accarezza.
Io non lo tiro su di peso, ma mi inginocchio accanto a lui e gli parlo nell’orecchio. Con voce calma, ma ferma, lo convinco a rialzarsi.
Dopo poco mio padre torna, ma non ha né le torte né l’allegria con cui ci siamo separati poco prima. E il sogno si confonde e perde nitidezza.
Quel ragazzino ha notato l’ammaccatura sui miei stivali e li ha accarezzati.
Che cosa ti avrò sussurrato con amore e comprensione, all’orecchio?
Quale parte di me rappresenti?
La peggiore, quella così inaccettabile che risulta ai miei occhi “un disturbo mentale”.
Ma l’altra parte di me cosa fa?
Ti parla con amore, ti convince senza forzare, a rialzarti.
Devo parlare con te.
Devo consolarti.
Devo perdonarti.
Devo accettarti.
Devo amarti.
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