Chiudo gli occhi e provo a sentire quello che mi scorre dentro.
La sensazione più forte è di estraniamento.
Le percezioni sono affievolite dall’anestesia cerebrale.
La mia mente non cessa di vorticare da una persona all’altra, da una situazione ad un’altra, non so se si tratta di ansia, o solo preoccupazione o ancora un insensato, vano tentativo di riprendere il controllo di tutto. Tutto quello che sento essermi sfuggito. La comunità virtuale ha amplificato tutte le mie sensazioni, sento una ridondanza spaventosa, che a tratti mi fa temere la pazzia.
Mi scopro a mentire, omettere, evitare.
Troppi sanno troppo di me, mi sento nuda, smascherata.
Forse dovrei solo lasciarmi andare. Per la prima volta sembra che io sia davvero dentro, non sono più ferma su quella soglia ad attendere il momento giusto per entrare, che non arriva mai. Mi sento dentro, ma ho paura, mi sento troppo fragile, non mi sento pronta. Vorrei scappare, allontanarmi, nascondermi in qualche angolo protetto, se ne esiste ancora qualcuno.
Mi apro, ma un attimo dopo non reggo a me stessa.
Ferisco, offendo, deludo, tradisco. Ma non me ne accorgo, non sento le loro sofferenze, lo immagino con la mente ma non sento nulla.
Le mie difese non sono più efficaci. Non mi aiutano, non mi proteggono più.
Non mi sento sola, mi sento isolata. Dentro quella campana di vetro, ancora intatta, da cui posso vedere tutto, rimango inaccessibile. Giro in tondo come una trottola impazzita che non riesce più a fermarsi. Ho deciso mille volte sì e mille altre no. E con la stessa veemenza. Ho acconsentito con entusiasmo e rifiutato con rabbia.
Sogno quel giorno: il giorno in cui, completamente centrata, saprò quello che voglio e quello che vogliono loro, gli altri, quelli che nella mia vita ci sono e resteranno; e saprò in che modo i nostri desideri coincidono, si incontrano, si soddisfano reciprocamente.
Tutto il buono e il bello che mi respira attorno mi ha bloccata, riducendo ogni cellula del mio corpo ad una forma di paralisi indistruttibile. Ho sentito tutte le mie forze, le mie energie concentrarsi lì.
So che la scelta giusta era partire.
Ma so anche quanto importante possa essere quest’errore oggi.
Quanto significato e valore può avere questa decisione sbagliata nella mia battaglia.
Quante volte in questi giorni mi sono immaginata su quel treno, con il mio libro e i miei pensieri, la curiosità e l’entusiasmo di trovarmi in un altro luogo, respirare altre vite. E quante volte ho scacciato il pensiero temendo le fitte della condanna e del senso di colpa.
Del dolore per la gioia e il calore che mi sono negata.
Ho ripensato a tutte le volte che ce l’ho fatta, a quel senso di soddisfazione e fierezza che mi ha scaldato, e mi ha aperto lo sguardo verso il futuro, verso la mia voglia di scrollarmi dal cuore la pena che mi porto dentro da sempre.
Ci sono parole che non uso mai.
Una di queste è speranza, parola che sento banale, vuota, usurpata, abusata.
Disperazione: senza speranza.
Si è realizzato il mio paradosso interiore più contraddittorio.
Non ho più scuse, né alibi.
La mia mente non cesserà di elaborare spiegazioni, ma sarebbe solo un inganno.
Quanto lo senti dentro, il tuo inganno?
Quanta energia consuma il tuo inganno?
Quanto spazio libero c’è, se smascheri il tuo inganno? Spazio per vivere, amare, per interessarti alle persone, coltivare le passioni che hai chiuso da qualche parte.
Per essere felice.
E imparare ad essere Valentina.
PS: Perché sono stata tutto il tempo in un’altra sala? Perché non ho liberamente camminato, parlato, riso, guardato, respirato?
N.B.: alle persone che amo e mi leggono, sul mio blog ma anche dentro.
La sensazione più forte è di estraniamento.
Le percezioni sono affievolite dall’anestesia cerebrale.
La mia mente non cessa di vorticare da una persona all’altra, da una situazione ad un’altra, non so se si tratta di ansia, o solo preoccupazione o ancora un insensato, vano tentativo di riprendere il controllo di tutto. Tutto quello che sento essermi sfuggito. La comunità virtuale ha amplificato tutte le mie sensazioni, sento una ridondanza spaventosa, che a tratti mi fa temere la pazzia.
Mi scopro a mentire, omettere, evitare.
Troppi sanno troppo di me, mi sento nuda, smascherata.
Forse dovrei solo lasciarmi andare. Per la prima volta sembra che io sia davvero dentro, non sono più ferma su quella soglia ad attendere il momento giusto per entrare, che non arriva mai. Mi sento dentro, ma ho paura, mi sento troppo fragile, non mi sento pronta. Vorrei scappare, allontanarmi, nascondermi in qualche angolo protetto, se ne esiste ancora qualcuno.
Mi apro, ma un attimo dopo non reggo a me stessa.
Ferisco, offendo, deludo, tradisco. Ma non me ne accorgo, non sento le loro sofferenze, lo immagino con la mente ma non sento nulla.
Le mie difese non sono più efficaci. Non mi aiutano, non mi proteggono più.
Non mi sento sola, mi sento isolata. Dentro quella campana di vetro, ancora intatta, da cui posso vedere tutto, rimango inaccessibile. Giro in tondo come una trottola impazzita che non riesce più a fermarsi. Ho deciso mille volte sì e mille altre no. E con la stessa veemenza. Ho acconsentito con entusiasmo e rifiutato con rabbia.
Sogno quel giorno: il giorno in cui, completamente centrata, saprò quello che voglio e quello che vogliono loro, gli altri, quelli che nella mia vita ci sono e resteranno; e saprò in che modo i nostri desideri coincidono, si incontrano, si soddisfano reciprocamente.
Tutto il buono e il bello che mi respira attorno mi ha bloccata, riducendo ogni cellula del mio corpo ad una forma di paralisi indistruttibile. Ho sentito tutte le mie forze, le mie energie concentrarsi lì.
So che la scelta giusta era partire.
Ma so anche quanto importante possa essere quest’errore oggi.
Quanto significato e valore può avere questa decisione sbagliata nella mia battaglia.
Quante volte in questi giorni mi sono immaginata su quel treno, con il mio libro e i miei pensieri, la curiosità e l’entusiasmo di trovarmi in un altro luogo, respirare altre vite. E quante volte ho scacciato il pensiero temendo le fitte della condanna e del senso di colpa.
Del dolore per la gioia e il calore che mi sono negata.
Ho ripensato a tutte le volte che ce l’ho fatta, a quel senso di soddisfazione e fierezza che mi ha scaldato, e mi ha aperto lo sguardo verso il futuro, verso la mia voglia di scrollarmi dal cuore la pena che mi porto dentro da sempre.
Ci sono parole che non uso mai.
Una di queste è speranza, parola che sento banale, vuota, usurpata, abusata.
Disperazione: senza speranza.
Si è realizzato il mio paradosso interiore più contraddittorio.
Non ho più scuse, né alibi.
La mia mente non cesserà di elaborare spiegazioni, ma sarebbe solo un inganno.
Quanto lo senti dentro, il tuo inganno?
Quanta energia consuma il tuo inganno?
Quanto spazio libero c’è, se smascheri il tuo inganno? Spazio per vivere, amare, per interessarti alle persone, coltivare le passioni che hai chiuso da qualche parte.
Per essere felice.
E imparare ad essere Valentina.
PS: Perché sono stata tutto il tempo in un’altra sala? Perché non ho liberamente camminato, parlato, riso, guardato, respirato?
N.B.: alle persone che amo e mi leggono, sul mio blog ma anche dentro.
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