martedì 31 luglio 2007

papà

penso continuamente al tuo corpo smagrito disteso sul letto d'ospedale.
sento ancora il tuo dolore, il tuo respiro affannoso, rivedo il pappagallo pieno di sangue che tu dicevi essere urina scurita a contatto con l'aria.
rivedo la mano di quel ragazzo appoggiata sulla tua spalla, sul terrazzino dove andavamo a fumare, che ti comunica di aver appena perso suo padre, quel signore con più d'80 anni che era caduto in cantina e non si era più ripreso. eri di fronte a me mentre apprendevi la notizia. rivedo il tuo sguardo: per la prima volta hai avverito l'anelito della morte. io ti ho convinto che eri troppo giovane per temere. ero sicura che saresti uscito dall'ospedale. adesso mi sembra di averti ingannato.
non tollero che mia madre sia rimasta sola perchè tu non ci sei più. è una sensazione insopportabile, insostenibile.
spesso avverto qualcosa affacciarsi dentro, tento di scacciarlo via, il mio braccio diventa una scusa, la mia guarigione un alibi.
inizio a realizzare che non ci sei più e mi sento stringere lo stomaco e bagnare gli occhi di lacrime.
domenica sulla tua tomba per la prima volta ho pianto. appena ti ho visto le lacrime sono sgorgate copiose e silenziose. avevo gli occhiali da sole, mi sentivo al sicuro, come se ci fosse bisogno di una protezione per piangere davanti alla lapide di un padre.
quando cerco di esprimere a parole la voragine soffocante che avverto dentro di me, mi accorgo che non basta dire che mi manchi. non è proprio mancanza, ma è come se la mia vita all'improvviso fosse esplosa o implosa, come se tutto si fosse trasformato ad un livello nuovo che non ha più nulla da spartire con il vecchio.
perchè non ci sei più e io non riesco a sopportarlo, ad accettarlo.
eri il pezzo di famiglia che mi apparteneva di più.
eri la persona che mi stimava di più, più fiera di me, che si fidava e mi chiedeva consigli.
mi hai lasciato con due persone che spesso stento a sentire mie, due persone che mi amano con rabbia e indifferenza, attraverso cui mi nutro di sofferenza e disagio, angoscia e preoccupazione.
eri tu che mi davi la forza per affrontare i problemi di questi mesi, eri tu la mia motivazione principale, desideravo solo liberarti di quei pesi.
sono piena di rabbia per averti perso così, in un istante di distrazione, senza rendermi conto di nulla. odio prendere coscienza che sia accaduto davvero.
odio anche scrivere di questo.
ma, io non ho altro modo per sfogare il dolore che provo, oltre alle lacrime e alla disperazione che a volte mi coglie in piena notte e non mi abbandona finchè non crollo, esausta e priva di forze, e mi addormento come fosse per l'ultima volta.
mi mancano anche le tue inutili incazzature. le tue ansie intollerabili, la tua sfiducia nel cambiamento.
odio pensare che fossi solo, anche se noi eravamo con te.
ripenso al tuo ultimo respiro e sento ancora il mio lamento, mentre accarezzo il tuo braccio ingiallito dalla malattia, magro e freddo. quel lamento non sembrava nemmeno uscire da me, sembrava arrivare da molto lontano, sembrava quello di un cucciolo di cane a cui hanno appena strappato la madre. e lo sento nelle orecchie quel lamento, certe notti mi rimbomba così forte dentro e mi tormenta.
è insopportabile questa sensazione di definitivo che provo adesso e da cui sono fuggita per tutta la vita.
odio quella maledetta bara piena di te.
mi sento una privilegiata e voglio pensare che non sia stato un caso che quella notte in quel pronto soccorso tu abbia trovato me davanti ai tuoi occhi nell'ultimo momento di lucidità che ha attraversato la tua mente. mi hai guardato come se non capissi cosa ci facessimo lì tutti e due, come se ti fossi all'improvviso svegliato da un brutto sogno, come se il tuo movimento successivo fosse scendere da quella barella e tornare a casa con me, sulle tue gambe forti e sicure.
ogni volta che mi sento in pericolo so che tu non potrai più proteggermi e mi sento sola.
una volta mi hai detto che io non sarei stata sola mai.
ti sbagliavi, pa'.

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