mia madre se ne stava sul balcone, distante, fuori, non mi dava attenzioni, e mio padre invece disponibile, collaborativo, mi ascoltava e mi segnalava che J se ne stava andando, senza intromettersi ma interessandosi a me. insomma: un punto di riferimento, quello che è sempre stato per me, ed ora che l'ho perso, lo sarà ancora di più.
avevo voglia di piangere. avevo bisogno di un’altra ora intera, solo di pianto.
dentro di me mio padre rappresenta il "buono". da quando non c’è più e ho iniziato a realizzare la sua assenza mi sento davvero il cuore sfondato dal dolore. provo un senso di vuoto e di abbandono così forte che sono costretta a pensare ad altro perché temo di non riuscire a reggerlo.
trovo che sia ingiusto. mi rendo conto solo ora di quanto fosse giovane, di quanto tempo avesse ancora da vivere! non c’è alcuna consolazione a quanto è accaduto, proprio nessuna. un male incurabile che ti porta via così sotto gli occhi, sbarrati e volti inebetiti, in quattro giorni scarsi.
e sto male perché non ero lì con loro la sera che è stato dimesso e mia madre l’ha riportato a casa; non ero con lui quando ancora avrei potuto parlargli, guardarlo negli occhi ancora vivi. so che non ero lì perché ho avuto paura, non ho avuto il coraggio di affrontare la morte, di guardarla sul suo volto, ero così terrorizzata che mi leggesse dentro il dolore che provavo, che mi vedesse mentre sapevo che stava per morire. e ripenso sempre a quella ultima frase che mi ha detto al telefono quel sabato:
avevo voglia di piangere. avevo bisogno di un’altra ora intera, solo di pianto.
dentro di me mio padre rappresenta il "buono". da quando non c’è più e ho iniziato a realizzare la sua assenza mi sento davvero il cuore sfondato dal dolore. provo un senso di vuoto e di abbandono così forte che sono costretta a pensare ad altro perché temo di non riuscire a reggerlo.
trovo che sia ingiusto. mi rendo conto solo ora di quanto fosse giovane, di quanto tempo avesse ancora da vivere! non c’è alcuna consolazione a quanto è accaduto, proprio nessuna. un male incurabile che ti porta via così sotto gli occhi, sbarrati e volti inebetiti, in quattro giorni scarsi.
e sto male perché non ero lì con loro la sera che è stato dimesso e mia madre l’ha riportato a casa; non ero con lui quando ancora avrei potuto parlargli, guardarlo negli occhi ancora vivi. so che non ero lì perché ho avuto paura, non ho avuto il coraggio di affrontare la morte, di guardarla sul suo volto, ero così terrorizzata che mi leggesse dentro il dolore che provavo, che mi vedesse mentre sapevo che stava per morire. e ripenso sempre a quella ultima frase che mi ha detto al telefono quel sabato:
“sono ancora un po’ giù”.
e ho lasciato sola mia madre, sola per due notti e due giorni. mi sento uno schifo, mi sento così in colpa che sono piena di rabbia e vorrei scaricarla tutta su di lei, ma lei cosa c’entra.
ho fatto la scelta sbagliata quel giorno usando il mio braccio rotto come alibi per la mia fuga vigliacca.
ero appena rientrata dall’ospedale, appena superato la prima notte da sola nel mio letto, nella mia casa. al mattino m’ero lavata e vestita da sola, avevo anche fatto il caffè! mi sentivo così orgogliosa di me, di quello che stavo facendo per reagire a una situazione così insolita. ero di buon umore, ero felice perché J aveva deciso di uscire prima da lavoro, era il suo compleanno, ed era venuto da me, così non sarei stata sola, in quel primo giorno a casa, in quel pomeriggio di pioggia e di freddo.
forse la vita ha voluto darmi un segno, quando lui ha avuto quel momento di lucidità in pronto soccorso e mi ha riconosciuta, mi ha guardata con la sua solita aria stupita e un po’ turbata perchè non capiva cosa stesse accadendo. mi ha fatto questo regalo per farmi sapere che non dovevo sentirmi in colpa per aver avuto paura di affrontare la morte. per essere scappata.
e adesso avrei voglia di prendere un aereo e correre da mia madre e abbracciarla, tenerla stretta e darle tutto l’amore che provo per lei, per sentirla finalmente vicina e mia, per farla sentire meno sola, amata.
e ho lasciato sola mia madre, sola per due notti e due giorni. mi sento uno schifo, mi sento così in colpa che sono piena di rabbia e vorrei scaricarla tutta su di lei, ma lei cosa c’entra.
ho fatto la scelta sbagliata quel giorno usando il mio braccio rotto come alibi per la mia fuga vigliacca.
ero appena rientrata dall’ospedale, appena superato la prima notte da sola nel mio letto, nella mia casa. al mattino m’ero lavata e vestita da sola, avevo anche fatto il caffè! mi sentivo così orgogliosa di me, di quello che stavo facendo per reagire a una situazione così insolita. ero di buon umore, ero felice perché J aveva deciso di uscire prima da lavoro, era il suo compleanno, ed era venuto da me, così non sarei stata sola, in quel primo giorno a casa, in quel pomeriggio di pioggia e di freddo.
forse la vita ha voluto darmi un segno, quando lui ha avuto quel momento di lucidità in pronto soccorso e mi ha riconosciuta, mi ha guardata con la sua solita aria stupita e un po’ turbata perchè non capiva cosa stesse accadendo. mi ha fatto questo regalo per farmi sapere che non dovevo sentirmi in colpa per aver avuto paura di affrontare la morte. per essere scappata.
e adesso avrei voglia di prendere un aereo e correre da mia madre e abbracciarla, tenerla stretta e darle tutto l’amore che provo per lei, per sentirla finalmente vicina e mia, per farla sentire meno sola, amata.
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