la morte.
la perdita.
l’abbandono.
nella mia famiglia siamo in 4.
... eravamo in 4 ...
nella mia famiglia c’è sempre stata una divisione: da un lato mia madre e mio fratello.
dall’altro mio padre ed io.
mia madre sempre di parte, sempre pronta a difendere mio fratello, come una fiera che protegge il proprio cucciolo. sì, mia madre è una donna molto istintiva.
mio padre, invece, uomo: frutto di principi e di razionalità, di obiettività.
mi adorava, ma mi difendeva solo quando era giusto, o quando era troppo evidente la mia ragione, palese l’ingiustizia. altrimenti, per quieto vivere (con mia madre, e con quel figlio maschio così problematico, con cui desiderava un rapporto tra maschi che non ha mai potuto avere) si metteva in disparte, temporaneamente.
è morto.
tumore al fegato.
simbolicamente penso che soprattutto dalle sue parti (era napoletano) significhi che “si è mangiato il fegato”. in realtà è stato il fegato a mangiarsi mio padre. l’ultima volta che l’ho visto, la sua pelle era gialla, il suo corpo ridotto alle ossa.
l’ho visto soffrire, esalare l’ultimo respiro con una fatica immensa.
nella mia vita non avevo mai pensato al giorno in cui avrei perso mio padre.
stare senza di lui è intollerabile per me.
non ci riesco a stare senza di lui.
mi ha strappato via tutto l’amore che avevo dentro.
lui mi chiamava “chicca” a volte. e io mi sentivo così fiera. anche a 30 anni mi scioglievo quando pronunciava quelle parole: “la chicca di papà”.
non capisco e non accetto, perché tra tanti dolori ho dovuto subire anche questo.
non ero pronta, mi ha sorpreso così tanto che non ho fatto in tempo a dirgli nulla.
sono stata con lui per ore, prima che morisse, senza parlare, guardandolo soffrire, scappando dalla sua stanza ogni volta che sentivo il bisogno di piangere, come se mi vergognassi davanti a lui. lui che mi parlava e mi comprendeva, lui che mi ascoltava.
lui che mi amava. lui che era sempre orgoglioso di noi. comunque.
non sono nemmeno riuscita a darti un nipote. scusami.
sono stata così inconcludente.
non sei stato nemmeno nonno. mi dispiace.
eri un uomo del sud, ma hai accettato ogni mia scelta, anche quelle che faticavi a comprendere, come la convivenza al posto del matrimonio, la mia decisione di andarmene e vivere da sola.
quando entravi nella mia casa l’ammiravi e ammiravi me.
adoravi la mia casa.
non squillerà più il mio telefono .. con te all’altro capo del filo.
non sentirò più le tue chiacchiere e le tue risate.
gli ultimi anni sono stati così duri per la nostra famiglia che a volte sono felice che tu non debba più sopportare il peso di certi problemi, l’ansia con cui vivevi certi avvenimenti.
reinventarmi una vita senza di te è la prova più dura.
quanto mi hai mandato fuori di testa, negli ultimi tempi .. con i tuoi dubbi, le tue ansie, le tue domande.
l’ultima frase che hai pronunciato con me, al telefono, quel sabato, mi rimbomberà nella testa per sempre: “mi sento ancora un po’ giù”.
non hai avuto il coraggio di dirmi che stavi morendo, anche se lo sapevi.
mi hai protetta per l'ultima volta, ma io lo sapevo, papà, lo sapevo che stavi morendo e abbiamo recitato pensando di soffrire meno.
avrei voluto salvarti ma non ce l’ho fatta.
tuo fratello aveva ancora tante cose da dirti. era incazzato e se l’è presa con me, perché io sono la più forte di questa famiglia. ma poi ha capito e mi ha abbracciato, abbiamo pianto e mi ha chiesto scusa.
e la sera, la sera abbiamo riso e scherzato, guardando quelle foto, anche se tu non c’eri più, da qualche ora.
sono felice che quella sera abbiamo saputo ridere. come facevi tu.
PS: al tuo funerale c’era un mucchio di gente .. ma tu lo sai, la gente ti adorava.