giovedì 28 ottobre 2010

Nero pece

A un passo dal baratro
in bilico sull'orlo del precipizio
vertigini
L'altoparlante strilla occasioni che non coglierai
come lo sai?
Lo sai ...
L'addio pronunciato con un ultimo fiato
un pomeriggio di maggio
caldo e ventoso
Un corpo rinsecchito dalla pelle gialla
la morte mi è entrata nelle ossa,
s'è portata via il tuo fegato
ma anche il mio cuore.

Non parlo più non rispondo più non l'ho fatto mai e mai lo farò

Gioca

Nausea.
Fatica.
L'imprevedibile che ti sorprende,
il prevedibile che non ti lascia spazio.
Impotenza prevista,
saturazione mista a coraggio,
quando tutto è inutile vorresti urlare forte e battere i piedi in terra,
resti in silenzio,
tutto scorre,
senti tutto il potere che hai dentro.
Ho così voglia di perdermi ...
Vorrei sentirmi almeno un po' disperata ...
Meglio straziata che spenta,
meglio dolorante che anestetizzata,
meglio sola che male accompagnata.
AH! la rima baciata,
ma chi l'ha inventata,
questa oscena cagata
questa maledetta Valentina, chi l'ha disegnata?
L'eterna inguaiata,
una gatta
perennemente insoddisfatta.
Gioca Vale,
gioca con la vocale,
con la consonante
a fare da amante,
gioca amore mio
lascia perdere il tramestio
nè vincitori nè vinti
nè accoglienti nè respinti
godi d'ogni momento,
ridi del tuo tormento.
La vita è un gioco ma non da poco,
intenso e bizzarro,
talvolta mi mette l'affanno,
si è solo consumato l'ennesimo inganno.

lunedì 25 ottobre 2010

Uno

Ci sono giorni grigi che vorresti solo guardare la pioggia al di là del vetro,
lasciarti cullare dal suo borbottio costante,
come fosse un’antica nenia.
Ci sono giorni che pensi non sopravvivrai,
e come d’incanto ti svegli una mattina e senti che sei ancora qui.
Ci sono giorni che vorresti crogiolarti nella tristezza che opprime il petto,
e invece ti lasci assalire da un’ondata di ricordi,
ricordi d’un gusto speziato
che ti consola e ti riporta a momenti forti e duri,
altri dolci e gentili,
una carezza sfumata nella memoria opaca di troppi amanti,
corpi,
emozioni.
Vivi secondo la tua fantasia e talvolta voli,
volteggi e infine plani sulle mille sfumature del suono greve di una musica calda,
una voce tenue,
una risata piena,
uno scroscio d’acqua improvvisa,
la mutevolezza del vento soffia forte e si placa,
d’un tratto,
risplende una luce vermiglia,
una palla di fuoco migra all’orizzonte,
la linea sottile di un mare confuso col cielo,
scurendo diventa tutt’uno.
Uno,
tre lettere piene,
parola universale,
il tutto e il nulla.

“Quando dico due ho già cominciato a contare e non vi è più limite.
Esiste solo un numero vero: Uno.
E l’amore, a quanto pare, è l’esponente migliore di questa unicità”.

La vera storia di Sebastian Knight – Nabokov

domenica 24 ottobre 2010

La vita cambia, all'improvviso (sedicidicembreduemilasei)

Sabato, le otto di sera.
Appena rientrata da un altro pomeriggio passato a rassicurare persone distrutte dall'evento più inatteso.
Sta pensando a cosa preparare per cena, quando squilla il telefono:
"Una birra?"
Perchè no?
Restare in tiro, non perdere il ritmo, non lasciarsi sopraffare dall'angoscia, è questo l'unico pensiero che insiste nella sua mente.

Dopo un'ora è seduta in un pub irlandese.
Due birre medie doppio malto, un piatto di pepite di pollo fritte.
La sala piena di fumo, i tavolini di legno e la moquette blu sul pavimento, il vociare intorno e un amico di fronte.
Qualche messaggio e una proposta:
"Raggiungiamo gli altri?"
Perchè no?
Ancora .. ancora il bisogno di mantenere il ritmo, di non fermarsi, stancarsi un po' di più per arrivare a casa sfatta e lasciarsi crollare a letto, sfinita.

Che sorpresa!
Sta bevendo una birra al bancone quando arriva, il suo viso s'illumina quando lei si volta sorridente, si abbracciano, felici di ritrovarsi dopo tutto quel tempo.
Sorpresi e vivi più che mai.
Lei ha i suoi jeans preferiti e il giaccone verde di pelle, i capelli cortissimi.
Lui uguale a sempre, i capelli lunghi spettinati, l'abbigliamento trasandato, il sorriso che gli increspa le labbra, lo stupore negli occhi luminosi.
Una serata che è un dono, gustato come due bambini davanti all'albero di Natale.
Stretti stretti su quel muretto, infreddoliti, fumano insieme, mentre lei borbotta per il tizio di colore che sta spacciando all'angolo della strada.
Che squallido questo posto, ma com'è luminoso, stasera!

D'un tratto, una voce, fuori dal loro campo visivo, interrompe le loro chiacchiere fitte, squarcia quello spazio prezioso ed esclusivo, dice:
"Andiamo?"
Il dispiacere sui loro volti, ma anche un sottile senso di colpa, la voglia di restare si scontra con la cosa giusta da fare, lei sa qual'è:
"Sì, andiamo".

Nella memoria altri dettagli affidati ad un oblio che possa portarseli via, un giorno.


"A mezzogiorno di una domenica invernale"

Perdonami

La tua mano sulla mia schiena,
un tocco lievo ma colmo di forza,
squarciò il manto di solitudine che mi premeva sul petto.

"Vieni con me? Ho questa cena ma non conosco nessuno, mi fai compagnia?"

In auto verso il ristorante ti parlai di mio fratello:
eri il primo a cui raccontavo tutto.
Piena di pudore e vergogna, non avevo trovato il coraggio di confidarmi con nessuno. Da settimane correvo in tutte le direzioni, placavo gli animi, rassicuravo persone, parlavo con avvocati, terapisti, fidanzate, genitori. Risolvevo problemi, ascoltavo cuori sofferenti e increduli, saltavo pasti, dormivo a stento, annullavo pensieri e custodivo segreti.
Mi sentivo forte, carica di energie, uscivo la sera per non pensare, mi mischiavo alla gente e mi lasciavo attraversare dai loro umori, le loro vite, per non sentire la mia che mi martellava dentro, che mi si addossava a peso morto sulle spalle e mi toglieva il fiato.

Tu mi ascoltavi, nessun giudizio, solo il tuo affetto incondizionato.

Avevo il giacchino di velluto arancione, la gonna nera arricciata, una calda pashima sulle spalle. Tu avevi il giubbotto, rarissimo era vederti senza il tuo cappellino e la felpa. Passammo la serata tra musica, chiacchiere e risate, mentre attendevo quella telefonata. Quando arrivò, mi scusai e mentre mi alzavo, tu appoggiasti la tua mano sulla mia schiena.

Fu il gesto più affettuoso che ricevevo da tempo.

In qualche modo riuscii a risolvere, tornai dentro la sala, dove tu mi aspettavi, preoccupato, ansioso di vedere nel mio sguardo un segno distensivo.
Suonava un pessimo gruppo da pianobar, ridevamo ogni volta che intonava l'ennesimo classico italiano, quando suonarono TTD nessuno lo riconobbe, a parte noi.
Sorridemmo, complici.

Finimmo all'Hiroshima:
per me un mojito,
per te il solito cuba libre.
Nella sala più appartata suonavano reggae, poche persone, io mi muovevo a ritmo sullo sgabello, tu mi osservavi con un sorriso sarcastico stampato in volto, sembravi sereno, con quel retrogusto caustico che portavi sempre nello sguardo.
Una serata speciale,
un pezzo di intimità assaporata con delicatezza,
quel modo leggero di vivere che avevi solo tu.

Perdonami!
Per essere stata debole, fragile e sfuggente.
Impaziente prima e poi irruenta.
Perdonami!

Quanto basta

"Sono contento di vederti perchè mi ricordi Guido".

A volte non trovo le parole,
certe emozioni sono impalpabili,
basta una parola a rievocare momenti pieni di tutto quello che siamo stati.
Come quella sera che ha cambiato all'improvviso la vita di molti:
a qualcuno infondendo una fiducia che credeva persa,
qualcun altro si è innamorato,
ma l'ha capito solo più tardi,
un altro ancora ha messo da parte un sogno,
un sogno rimandato troppo a lungo fino a infrangersi su un asfalto ruvido e asciutto.
A qualcuna si sono aperte troppe porte,
a tentoni è entrata in tutte tranne una,
quella giusta.

venerdì 22 ottobre 2010

La mia, la tua

C’è uno scomparto
tra le due tasche che compongono la mia borsa.
E’ lì che terrò le tue parole.

Adesso vorrei solo perdermi ancora dentro il nostro piacere,
sentirti entrare dentro di me,
senza parlare,
elevarmi ancora una volta sopra tutto,
in quell’armonia che i nostri corpi soli sanno creare,
insieme.
Vorrei spegnere la mia mente,
lasciare spazio ai sensi che fremono
e godono al contatto con la tua pelle,
con la tua bocca,
con te.

La mia voglia di te,
la tua voglia di me.

A spasso con me - Parte II

Penso che domani sarà tutto diverso, o forse tutto uguale ad un sempre che vorrei non esistesse.
Penso che ci sarà ancora la fatica di stare in un mondo che non mi appartiene, alla ricerca ancora meno interessante di un posto dove stare, in pace con me, in pace con gli altri, quelli che nemmeno conosco, quelli che non conoscerò mai davvero.
Una scintilla ogni tanto illuminerà una strada che calpesterò con i miei piedi sempre più stanchi e pesanti.
Sento un barlume di volontà, forza e coraggio che ancora mi spinge in avanti, pura sopravvivenza, spirito indipendente che ti trascina oltre anche quando ti fermeresti per sempre. Lo afferro, so che se lo lasciassi andar via senza di me, se lo lasciassi cadere nel vuoto che ho intorno, potrei perdere la ragione, impazzire di rabbia e dolore che a volte sono la stessa cosa, si confondono in un turbine spaventoso che fagocita ogni altra cosa e distrugge, spazzando via anche ciò che si potrebbe salvare.
Quanto poco ho ascoltato e quanto invece ho parlato.
Succede così talvolta: hai bisogno di una persona di fronte perchè le tue parole ti diventino finalmente chiare e si riempiano di un senso che da sola non hai saputo trovare. E ti chiedi quanto bisogno hai di qualcuno che guidi e illumini quell'angolino perso dentro di te che turba con tanta persistenza la tua quotidiana esistenza, che urla mentre stai facendo i gesti più banali, che ti spinge da una parte senza che tu possa opporti e ti costringe ad arrivare non sai dove, finchè non ci sei e lo vedi.
Vedi quello che sei, che vuoi, che rifiuti.
Vedi quello che vorresti essere, quello che sono gli altri, che sei tu negli occhi di un altro, quello specchio che non mente mai, svela la natura che hai dentro e ti parla senza mai aprire bocca, in un silenzio ora pieno di un significato che devi cogliere, devi comprendere.
Penso che sono morta ancora una volta, che lo sfinimento non è mai abbastanza, che ho bisogno ma anche desiderio, che mi trovo tanto quanto mi perdo. E mi perderò ancora.
Penso che l'amore spinge tutto e la paura nega altrettanto.
Cerco l'immagine di quel volto nella memoria stanca e non so trovare un affetto che sgorga altrove. Quegli occhi spenti, senza luce nè amore, lo sguardo un po' sprezzante che plana su di me. Non vedo altro.
Mi apro eppure non so se sono sincera.
Mi chiedo come si possa raccontare così precisamente i miei tormenti e non saperli raccogliere e curare, accarezzare e guarire. Almeno coccolare.
Spero di sbagliarmi,
spero di sapere che cosa devo fare per arrivare lì,
in quel luogo dove tutto è in movimento,
ma anche fermo.

A spasso con me - Parte I

Mi sveglio in piena notte, l'effetto dell'alcool svanito, la mente corre istintiva all'ultima porzione di vita appena consumata.
Cerca, tra i ricordi un po' sbiaditi, il filo che ricorstruisca quei momenti, le parole, i gesti, come se tentasse di ricomporre un sogno appena sfumato.
Inquieta, allarmata, a poco a poco la sento calmarsi, mentre riaffiorano le sensazioni: c'è rassegnazione, amarezza, uno strano gusto di conclusione inevitabile.
C'è che la vita non è ancora finita, altri giorni da scrivere, altri drammi e gioie da imprimere sulla pelle, far scivolare su un foglio di carta ingiallito come l'anima di chi verga queste nere parole, piene e tonde.
Mi volto dall'altra parte nel tentativo di ritrovare quel misto di calore e stordimento che il vino e le coperte mi regalano ogni notte, quando penso che non mi serva altro. Ma tutto è svanito. Tutto è sveglio e lucido, ora, dentro di me.
Il corpo inizia a parlarmi, forte e chiaro, lancia segnali sofferenti e puntuali. Scaldo dell'acqua per un infuso, devo prendermi cura di uno stomaco che brucia, urla dolente, troppo a lungo maltrattato. Il tepore lo accarezza e lo distende, tutto sembra tornare ad un'indolente normalità, ancora per questa volta.
Fumo una sigaretta arricciata tra dita esperte, abituate al movimento e rapide, l'accendo con un colpo svelto e tiro la prima boccata.
Mi sento già meglio.
Allora posso scrivere.
Ecco qui,
sono io adesso,
tutto ciò che ancora posso essere.

giovedì 21 ottobre 2010

Oh cazzo!



La Vergine secondo Rob ...

"In questa fase della mia vita non vado di porta in porta a raccogliere fondi per le foreste e non faccio parte di nessun gruppo che lotta per la fine della guerra in Afghanistan o per i diritti degli animali. Conduco la mia lotta per la giustizia sociale e ambientale scrivendo. Condivido l’opinione della scrittrice Ingrid Bengis: “Le parole sono una forma di azione, in grado di determinare cambiamenti”. Nelle prossime settimane ti consiglio di pensare a come potresti trasformare il mondo con la sola forza del linguaggio. Saresti in grado di aumentare la tua influenza con il tuo modo di comunicare?"

Inevitabile

Anime corrotte danzano tra rivoli di sangue rappreso,
fiumi d'acqua limpida scorrono intorno,
invano.
Attratte fameliche
si nutrono di corpi in decomposizione
a nulla serve la vetrina che brilla di carne fresca e sana.
Depongo le armi e aspetto che tutto scorra
mi macchio di fango
per non sentirmi esplodere di dolore e rabbia.
Mi infilo in luoghi torbidi e scuri
per non distinguere la luce che mostra la vita che non ho.
Cerco il difetto che renda perfetto il mio mondo di fantasia
muoio e rinasco al ritmo di un orologio impazzito
che non segna mai l'ora esatta.
Mi lascio opprimere e soffocare da sentimenti vacui
che non mi appartengono
entro nella parte e recito allo sfinimento
una tragedia che mi hanno scritto nel DNA
prima che emettessi il primo vagito:
"E' nata!
E' una femmina!"
E' da quell'istante che si inizia a morire.

Inviato da iPhone

Rigetto

Persa in un aspro groviglio di emozioni.
L'orgoglio ferito,
l'anima calpestata dal vuoto di vivere.
Gli occhi sbarrati nelle notti più tormentate,
l'alcool scandisce il ritmo del riposo,
coma profondo per quel tanto che fa.
Il mio letto è così grande che mi smarrisco,
cerco un calore che non è di coperte,
rinuncio a me stessa per qualcosa che non esiste per nessuno.
Vulnerabili sensi alla deriva,
urlo fino a perdere la voce,
l'ascolto svanire lontana nello spazio interiore che rimbomba all'infinito.
Occhi gonfi ma asciutti,
lacrime che restano appese sull'orlo di un precipizio troppo buio,
troppo profondo,
per lasciarsi andare e sgorgare libere,
sane e copiose.
Ricordi lontani si tramutano in colpi inferti da un assassino
sadico e crudele,
mi tortura godendo dello strazio che genera,
si nutre insozzando candore e poesia,
non cessa di affondare i denti nella carne già corrotta.
Immagini opache sbiadiscono mentre tento di afferrare
un volto,
una mano,
uno sguardo perso nel vuoto,
quel vuoto sono io,
qualcuno se n'è accorto,
... troppo tardi.
La mente distrugge ogni ostacolo vivo,
getta scompiglio e fango,
ricopre di macerie sparse a caso ogni simbolo indigesto.
Una rivolta senza speranza distruggerà ogni centimetro di gioia,
ogni istante di bellezza,
ogni angolo conquistato.
Così trasparente da lasciarsi attraversare dal mondo intero.

venerdì 15 ottobre 2010



“L’arte della medicina consiste nel distrarre il paziente mentre la natura cura la malattia”, disse il filosofo francese Voltaire. Tenendo a mente questa massima, prendiamo in considerazione il problema che hai in questo momento. Da quello che posso capire, alcune forze risanatrici fuori dal tuo controllo e delle quali non sei consapevole si sono messe all’opera per risolverlo. Quindi, faresti bene a tenerti occupato in attività che secondo te possono affrettare la guarigione, ridurre la tua ansia e permettere alla natura di fare quello che sa fare meglio.

giovedì 14 ottobre 2010

Anestesia

La notte è densa di vuoto
gli occhi spenti
la mente annebbiata
il desiderio ricacciato indietro insieme alle lacrime
la solitudine si è tinta di grigio
il freddo si è fatto lancinante
non sento più nulla
una piuma che svolazza al vento
fragile
senza nessuna direzione
ecco come mi sento
leggera,
senza potere
in balia della corrente
trattengo le parole
la rabbia mi mangia dentro come uno squalo affamato e vorace
e questa unica compagnia
ogni sera
vigliacca e suadente
si prende gioco del mio dolore
non voglio più sentire
non voglio più vedere
voglio essere trasparente
voglio non esistere
voglio scomparire
puff!
Come d'incanto.

venerdì 8 ottobre 2010

ACCA




I nomi di molte città statunitensi che contengono il suffisso “burg” un tempo finivano per “burgh”. Alla fine dell’ottocento le autorità federali decretarono la cancellazione dell’acca muta finale. Gli abitanti di Pittsburgh, però, si ribellarono e chiesero di poter mantenere la loro preziosa “h”. La richiesta fu accolta. Ti consiglio di seguire il loro esempio e di insistere per mantenere la tua identità, Vergine. Non lasciarti troncare, abbreviare o standardizzare.

giovedì 7 ottobre 2010

Metamorfosi

Cupo lo sguardo
increspato il sorriso
La crisalide è morta,
nata è
una nuova farfalla.

mercoledì 6 ottobre 2010

Io no

Non correrò verso cieli coperti di fumo

Non parlerò negli angoli delle mente

Non sentirò
le pene inflitte ai dormienti
non mostrerò
l'anima agli impazienti

Non morirò
di vita appassita
non ricorderò
di essere stata avvilita

Non amerò
la campana di vetro
non sbaglierò
nell'ultimo metro

Non rinnegherò
l'ancestrale dolore
non rimpiangerò
un'esistenza incolore

Non spezzerò
l'attimo giusto
non assaggerò
l'amaro disgusto

Non colpirò
il bersaglio sbagliato
non mi fermerò
sull'angusto sagrato

Non sanguinerò
di rosso vermiglio
non perdonerò
con un battito di ciglio

Non odierò
la mano innocente
non falserò
la mia natura indolente

Non piangerò
un fiore disperso
non mi volterò
se il cielo sarà terso.


Io urlerò
se non potrò fare altro.

lunedì 4 ottobre 2010

Guipa



Quando mi manchi mi guardo dentro e ti cerco.
So che sei lì,
nel cassetto più prezioso,
lo apro di rado come si fa con il vino pregiato.
E' una sciocchezza?
Lo so.
Lo apro di rado per non soffrire troppo spesso.
Ti sei scelto la mia compagnia preferita,
chissà quante ve ne raccontate lassù di me.
Sì,
amo pensarvi così,
che ridete di me e mi guardate mentre faccio una delle mie cazzate
ma non temete nulla,
sapete come sono,
sapete che me la caverò sempre.
Che cazzo ci fate lassù laggiù ...
ma dove siete?
Avevo ancora bisogno di voi.
Vi amo,
come sempre.